Guardai quei barbigli sottili che aveva in cima alla testa, quelle antenne serpeggianti che costituivano il ponte nello spazio tra di noi.
«E' così che parliamo, vero?» chiesi. «Tu mi tocchi con una di quelle, e riusciamo a capirci. »
«In parte, sì. Ma è anche perché ti ho punto.»
Mi sentii attraversare il corpo da un lampo di ricordi sgradevoli. «Eri tu, quella? »
«Esatto. Serviva che io avessi un pezzettino di te dentro di me, e che tu avessi un pezzettino di me dentro di te. Era con te che volevo parlare.»
«Perché?»
«Le persone giovani hanno la mente molto più aperta. Il vostro cervello è ancora così meravigliosamente onesto, di ampie vedute, elastico.»
«Sono allergico, sai?»
«Ti chiedo scusa.»
«Quindi... ci sei tu lassù nel nido a casa nostra.»
«E' il mio nido, sì.»
«Sei la regina!»
Nella sua voce baluginò una punta di orgoglio.
«In effetti, sì.»
«E ora sono nel nido, vero?» dissi guardandomi attorno.
«Giusto, ancora una volta.»
«E' un luogo reale. Io però credevo...»
«Cosa?»
«Che fosse solo un sogno.»
«Ma tu stai sognando. Però è anche reale.»
Non ero sicuro che avesse senso, quel discorso.
«Ma come faccio a starci, qui dentro?»
«Il tuo Io del sogno può entrare dappertutto» disse, come se fosse il concetto più semplice del mondo. «Fuori dal nido sei grande. Dentro, sei piccolo.»
Il sollievo si mescolava alla meraviglia. Non ero pazzo. Questi sogni non appartenevano solo alla mia immaginazione. Erano in qualche modo saldati al mondo reale, proprio come il nido era saldato al nostro tetto.